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Anno Pastorale 2003 - 2004 Incontro del 2 dicembre 2003
Dal vangelo secondo Luca – capitolo 18
la vedova e il giudice
domanda problematica
il fariseo e il pubblicano
Parola del Signore.
Osservazione
Siamo ormai vicini alla morte e passione di Gesù e dobbiamo
stare pronti per il "giorno" del ritorno visibile di Gesù,
alla nostra morte e alla fine della storia.
La preghiera diventa indispensabile per poter vivere bene gli ultimi avvenimenti
della vita terrena di Gesù e per poter perseverare fino al suo ritorno.
Il testo ci mette di fronte a due parabole con unicità di significato.
La prima è sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi,
come dice il testo stesso, e ha tre protagonisti: il giudice chiamato
a far giustizia contro l'avversario, Dio, capace di far giustizia
prontamente, e la vedova, emblema della persona misera per via della
sua situazione sociale.
Anche la seconda parabola ha un'intenzione dichiarata, dal momento che è
narrata per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli
altri.
I protagonisti sono il fariseo, il cui comportamento non è quello di
tutta la sua classe, e il pubblicano, esattore delle tasse per conto dei Romani,
emblema del ladro ricco.
La conclusione di Gesù non è una novità, con il ribaltamento
della situazione storica.
Interpretazione
L'interpretazione è facilitata dalle intenzioni dichiarate
e dalla conclusione finale di Gesù.
Occorre pregare sempre, senza stancarsi, per chiedere giustizia contro chi
tenta di schiacciare le persone. Dio prontamente interviene a togliere dalla
miseria, incarnata dalla vedova, chiunque persevera nel chiedere la liberazione.
Sembra che ci sia una contraddizione tra il prontamente e il perseverare:
non è così. La situazione di miseria, putroppo, si ripropone
continuamente nella vita umana. Occorre perseverare nel chiedere e, volta
per volta, senza farsi attendere, Dio interviene.
Occorre umiliarsi, cioè riconoscere la propria situazione peccaminosa
e la propria incapacità si sapersela cavare da soli. A questo punto
si sarà esaltati, intendendo questa esaltazione come l'insieme dei
passi felici, che vediamo realizzati nell'esaltazione di Gesù. Invece,
chi si esalta, si incensa, presume di salvarsi da solo, sarà umiliato,
cioè riconosciuto nella sua realtà di fallimento.
Domande per la vita
Pregare significa raccogliere un discorso, che il Padre continua a farmi, da
quando esisto. C'è da sorprendersi che la preghiera vada fatta sempre?
Se fosse anche la parola di un diseredato, sarebbe per lo meno educazione raccoglierla.
Io so raccogliere, a tempo pieno, la Parola di COlui che dà senso e consistenza
alla mia vita? Sono convinto che il prestare attenzione alla Parola non mi fa
perdere tempo, ma lo colma di significato?
So anzitutto ascoltare il Padre, che mi parla sempre di progetti meravigliosi,
di fiducia, di incoraggiamento? So accogliere i suoi progetti su di me, oppure
non do perso e sono intento a parlare solo io, magari per cambiare i suoi piani?
La mia preghiera è contraddistinta dalla calma, dall'attenzione, dal
rispetto, doti tipiche di chi sa ascoltare?
Le mia parole sono poi anzitutto di ringraziamento? Sono cariche di meraviglia,
tipica di chi si mette con riconoscenza davanti alla grandezza di Dio? Sono
capace di chiedere misericordia per tutti i miei peccati? So chiedere giustizia
contro tutti i nemici che non mi aiutano a vivere l'amore?
Assomiglio al fariseo? Sono convinto che, se fosse così, sarei assolutamente
fuori dalla preghiera? Mi vanto davanti a Dio? Giungo al punto di disprezzare
gli altri, perché non sono all'altezza della situazione come lo sono
io?
Oppure assomiglio al pubblicano? So riconoscermi responsabile per quanto ho
commesso? So domandare sinceramente perdono e chiedere quanto serve per riparare
il male fatto? So riparare il male che ho fatto, chiedendo perdono alla persone
interessate e riparando i danni arrecati? Mi prefiggo di vivere come Gesù
quando prego e chiedo perdono?
So chiedere: Insegnami a pregare? So mettere la Parola alla base di ogni mia
preghiera?