MARZO 2004

SOMMARIO

Don Pierangelo
Paolo VI, il timoniere del Concilio
“Io ebreo a scuola con il Crocifisso”
“Il mio lungo inverno nei gulag di Stalin”
Lasciateci entrare, se potete
Voci da terre lontane
Dal gruppo missionario
Celebrare la bellezza

Cari fratelli e care sorelle,
è ancora Giovanni l’evangelista, l’amico dello sposo che ci introduce nel tempo sacro della Quaresima indicandoci il Verbo fatto carne come Colui che solo è in grado di poter vincere il peccato del mondo; quel peccato che esprime il disordine, il male che insidia la vita dell'uomo e nello stesso tempo riassume tutti i nostri peccati personali dei quali ciascuno di noi è responsabile, vittima e carnefice degli altri.
Gesù, il Verbo della vita, fonte di salvezza perché vincitore del male (Ap) è il caso serio, è il fondamento della nostra fede nel quale Dio Padre si è rivelato, ha manifestato la sua Gloria e ha donato luce, senso e futuro alla fragile vita umana.
Offuscati, sedotti, ingannati dalle tenebre e dal male, con Lui siamo vincitori di ogni male e con la certezza che il dominio del male e di satana non è eterno.
Da qui nasce l'obbligo, l'impegno e la testimonianza a combattere ogni forma di male, di peccato che offusca e avvilisce la nostra vita e quella dei fratelli vicini e lontani.
Quaresima è tempo di ripensamento, di rinnovamento, di conversione e di combattimento spirituale alla luce della Sacra Scrittura che pone Dio al centro dell'esistenza, l'Unico capace di indicarci il bene, di spronarci al bene e di farcelo godere nella sua bellezza.
Sobrietà, silenzio, digiuno, preghiera, solitudine, Sacramenti, fraternità e carità sono altri cammini e mezzi indispensabili per rientrare in se stessi, in quella armonia che è segno della Presenza di Dio in noi.
A tutti voi, fratelli e sorelle, auguro di iniziare con gioia e impegno l’itinerario dei quaranta giorni che conduce alla celebrazione della Pasqua di Gesù e cioè alla vittoria con Gesù di qualche peccato personale privato o sociale finalmente sconfitto.
Buona Pasqua!
Gesù risorga nel cuore di ciascuno di noi!

Don Pierangelo


PAOLO VI, IL TIMONIERE DEL CONCILIO

A venticinque anni dalla morte di Paolo VI, vogliamo qui ricordarlo e riflettere sulla sua personalità, sulla sua missione nella Chiesa del Concilio Vaticano II.
Ci aiuta il libro di Andrea Tornelli "Paolo sesto, il timoniere del Concilio"
"Paolo VI è stato un Pontefice che ha saputo dialogare fino in fondo con il mondo moderno, che ha saputo soffrire fino in fondo per la Chiesa, che ha saputo difendere fino in fondo l'essenziale della tradizione cattolica.
Una parte tradizionalista continua a criticare papa Montini per aver avallato la riforma liturgica post-conciliare, per le sue spinte ecumeniche, per il suo dialogo franco e sincero con il mondo moderno.
Esistono critiche che sembrano specializzate nell'attacco e nelle accuse contro Paolo VI, "reo" di non aver saputo contrastare la crisi della Chiesa.
Purtroppo la figura di Paolo VI, un po’ schiacciata tra quelle del suo predecessore (Giovanni XXIII) e del suo successore (Giovanni Paolo II), è ancora oggi oggetto di vari attacchi.
Una parte tradizionalista continua a criticare papa Montini per aver avallato la riforma liturgica post-conciliare, per le sue spinte ecumeniche, per il suo dialogo franco e sincero con il mondo moderno.
Da un’altra parte si attribuisce a Montini il mancato compimento delle riforme conciliari, lo si accusa di aver il qualche modo “frenato” la corsa iniziale del Vaticano II, di non aver permesso che le energie nuove del Concilio si esprimessero fino in fondo.
Così si finisce per contrapporre “l’aperto” Giovanni XXIII, che con grande coraggio e tanta speranza diede inizio al Concilio, al “chiuso” Paolo Vi, che dovette guidare tre delle quattro sessioni con ciliari, condurre in porto la nave che il suo predecessore aveva fatto salpare in mare aperto, ma al quale si contesta di non aver corrisposto alle attese.
Ci si riferisce, in questo caso, a quello “spirito del Concilio” che ancora oggi viene utilizzato per giustificare abusi di ogni genere (anche, ma non solo, in campo liturgico), facendo finta di dimenticare ciò che è scritto nei testi conciliari.
Paolo VI è stato un difensore del “deposito di fede” della Chiesa.
È’ stato un Papa fedele, che ha saputo interpretare la modernità, ha saputo scorgere già negli anni Sessanta (quando la Chiesa conciliare era pervasa dall’ottimismo) i segni della profonda cristianizzazione in atto ha voluto dialogare con tutti e farsi missionario, inaugurando, con i suoi nove viaggi internazionali, uno stile papale nuovo.
Ha saputo dare una spinta eccezionale all’ecumenismo, compiendo gesti più che pronunciare parole”.
Nella prefazione al libro don Giussani scrive tra l’altro: “Le parole pronunciate il 23 luglio 1975 da Paolo VI sono per me come un vertice, una sintesi di tutta la sua preoccupazione di Papa per la vita reale della Chiesa, realtà umana e divina che cammina nella storia: “Dov’è il Popolo di Dio del quale si è tanto parlato e tuttora si parla? Dov’è?”.
Gli ultimi anni del pontificato di Paolo VI furono carichi di dolore per la Chiesa di Dio, provata da mille pericoli. Egli avvertiva la presenza del Maligno in lotta con la realtà storica della Chiesa, quasi schiacciandola in certi momenti o luoghi.
Ma proprio questa percezione rinnovò in lui la certezza purissima della più forte azione del Signore operante in un “piccolo gregge” a Lui fedele: la comunità cristiana, nata per l’energia dello Spirito di Cristo risorto e unita intorno a Pietro e ai successori degli apostoli.
Questa certezza gli faceva dire: “Siate contenti, siate fedeli, siate forti e siate lieti di portare intorno a voi la testimonianza che la fede cristiana è forte, è lieta, bella e capace di trasformare davvero e con l’amore la società in cui essa si inserisce”.
Come conclusione di questo ricordo di papa Montini ecco alcune frasi tratte dal suo Testamento, che rappresentano una sintesi efficace del suo modo di sentire:
“ E circa ciò che più conta, congedandomi dalla scena di questo mondo e andando incontro al giudizio e alla misericordia di Dio: dovrei dire tante cose, tante.
Sullo stato della Chiesa: abbia essa a dare ascolto a qualche nostra parola, che per lei pronunciammo con gravità e con amore.
Sul Concilio: si veda di condurlo a buon termine e si provveda ad eseguirne fedelmente le prescrizioni.
Sull’ecumenismo: si prosegua l’opera di avvicinamento con i fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica.
Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo.”


“Io ebreo a scuola con il Crocifisso”

Ospitiamo in questa pagina alcuni stralci dell'intervento di Aaron Fait, un biologo ebreo italiano (nato a Bolzano nel 1972, è cittadino israeliano dal 1992) a proposito delle polemiche suscitate negli scorsi mesi dalla richiesta di rimuovere il Crocifisso dalle aule della scuola elementare di Offena, in provincia dell'Aquila.
“Era lì appeso, in ogni classe, al centro del muro, sopra la lavagna. Cambiavo classe, crescevo e lui rimaneva lì, immutato.
A volte il colore era diverso ma sempre presente, sempre nella solita posizione.
Sono cresciuto con il crocifisso sul muro. Devo dire che tra noi c'era un che di complicità, tutti e due ebrei, tutti e due alle lezioni di latino, di tedesco, di matematica.
Non mi sono mai sentito minacciato dalla sua presenza, né come bimbo e poi adolescente, né come ebreo, forse perché non gli appiccicavo significati e storie di cui ero poco cosciente.
Sono state rare le volte in cui l'ho guardato con timore, e ogni volta era abbinata a una frase, un evento, sempre e comunque abbinato a una persona, che lo prendeva figurativamente in mano ficcandomelo davanti agli occhi con frasi sottili, che ancora non riuscivo a controbattere.
Ma in generale ci siamo frequentati costantemente per poco più di 13 anni, compagni di scuola, e a volta di ore extra-scolastiche dove lo ritrovavo, magari durante la trasmissione del film di san Francesco, in una parrocchia di piazza Gries a Bolzano, vicino alla mia scuola elementare.
Sono quasi 12 anni che non lo vedo più se non quando visito le regioni in cui sono nato e cresciuto. In questi anni mi sono avvicinato fortemente al popolo di cui ambedue facciamo parte, mi sono avvicinato ai luoghi in cui lui è nato e cresciuto, nei luoghi in cui i nostri avi hanno ricevuto la Torah, e in cui i rabbini hanno stilato il Talmud.
Vivo, cammino, visito i luoghi in cui lui ha predicato, cammino nei luoghi in cui lui e insieme a lui decine, centinaia e migliaia del nostro popolo sono stati uccisi, torturati, violati dai conquistatori di Roma.
Gesù in croce è stato parte della mia giovinezza.
Che cosa vuol dire togliere Gesù dal muro?
Forse può significare la vera laicità dello Stato.
Potrebbe ridare a Gesù il suo posto, il suo significato.
Tenerlo appeso al muro senza dargli consistenza e a volte usarlo con fini contrari al suo stesso messaggio è controproducente o semplicemente inutile.
Ore di religione cristiana, passate in classe a far confusione, o fuori dalla classe a far niente, non è cultura, è la perdita di essa, è creare persone che non possono dialogare, che non sanno chi sono.
Che cosa vuol dire togliere Gesù dal muro? É forse su questo che è fondata la cultura italiana? O la religione cristiana? A che cosa serve un simbolo lasciato a prender polvere senza essere abbinato a nessun discorso?
Perché non fare una scuola statale con ore di studio religioso cristiano serio, di studi teologici seri, per coloro che intendono praticare la religione cristiana?
Perché fa tanta paura togliere il crocifisso dal muro? Forse perché è tutto lì?
Forse perché ci si sente così deboli, così poco fermi e poco radicati ormai nella propria religione che un italiano di religione diversa è subito visto come una minaccia alla «cultura» italiana.
Ho vissuto bene con Gesù sul muro, ho vissuto bene tra i miei compagni di religione diversa, perché eravamo tutti italiani e perché la cultura italiana non è monopolio dei fedeli di Cristo, né dei loro fratelli maggiori o cugini, ma di tutti coloro che la vivono, la parlano l'ascoltano, la studiano e la mangiano.
Forse la cultura in Italia è in crisi?
Allora si cerca di mantenere i simboli, per proteggere quello che con le proprie mani non si ha più la forza di fare, o la voglia di cambiare.
Un processo simile a quello nello Stato di Israele.
Qui ci sono ebrei che sanno di essere ebrei, ma non sanno cosa sia un ebreo, e che credono che il loro ebraismo sia difeso da un libro, o dalla stella di Davide che hanno appesa al collo, o dal libro dei Salmi che tengono appeso in macchina o da qualche chilometro quadrato di terra.
Forse la risposta non è indignarsi dell'arabo che chiede la rimozione del simbolo di una fede in cui lui non crede.
Forse la risposta è cercare di nuovo ciò che è andato perso, tra i muri delle proprie case, delle proprie parrocchie, del Parlamento; perso tra le ore di «religione» dei propri figli, perso nel modo in cui li educhiamo e nel modo in cui buttiamo su altri responsabilità nostre: sulla Chiesa, sul maestro, sul prete, o addirittura su un pezzo di legno raffigurante un ebreo agonizzante



“Il mio lungo inverno nei gulag di Stalin”
di Kazimierz Swiatek – oggi arcivescovo di Minsk in Bielorussia

Ai tempi di Stalin tutto il territorio dell'Unione Sovietica era altro un enorme gulag, dove migliaia di reclusi nei vari lager morivano a causa delle disumane condizioni d'esistenza e di lavoro.
Dopo essere stato incarcerato per due volte nelle prigioni sovietiche, inclusi due mesi nella cella per condannati a morte, venni mandato al lager dei lavori forzati a regime speciale.
Per dieci anni sono rimasto completamente isolato dalla realtà del mondo, in particolare dalla realtà della Bielorussia e della sua Chiesa. Sono stato recluso in un estremo isolamento e ciò non mi ha permesso né d'incontrare alcun sacerdote cattolico né d'amministrare i sacramento della confessione.
Soltanto negli ultimi anni di lager sono riuscito ad avere l'ostia e il vino per celebrare di nascosto la santa messa. Come calice usavo una tazza di ceramica e per l'ostia consacrata da portare ai cattolici una scatola di fiammiferi.
Con un accanimento davvero satanico venivano perseguitati tutti quelli che credevano in Dio e cercavano di seguire i riti religiosi.
Chi, nonostante le terribili persecuzioni, perseverava nella fede si sentiva abbandonato e indifeso. L'Occidente, pur conoscendo la situazione della Chiesa nell'Unione Sovietica, spinto da certe ragioni, forse anche politiche, non è intervenuto in difesa dei credenti oppressi e perseguitati dal regime.
Eppure la Chiesa in Bielorussia, pur senza le sue strutture ecclesiastiche, sofferente, talvolta anche sanguinante, rimaneva viva ed attiva.
Nel 1954, dopo dieci anni passati nei gulag, venni liberato.
Mi diressi non senza difficoltà verso Pinsk. Entrai nella cattedrale dove nel 1939, all'atto del conferimento dei voti sacerdotali, avevo giurato obbedienza e fedeltà a Dio e mi fermai sotto il coro, appoggiato alla colonna, con il cuore colmo di gioia e di gratitudine.
Era domenica. Nelle prime file c'erano una trentina di donne anziane, mentre un omino anziano e claudicante stava preparando l'altare per la santa messa: posò sull'altare la pianeta e il calice, accese le candele, suonò il campanello.... ma davanti all'altare non arrivò nessun prete.
Le donne si erano alzate e una di loro, facendo il segno di croce ad alta voce, annunciò il nome della domenica ed iniziò con tutte le altre a dire le preghiere introduttive della santa messa.
Una delle donne poi si alzò e prese a leggere il Vangelo.
Dunque, era una messa senza il sacerdote!
Finita questa straordinaria celebrazione sono entrato nella sacrestia per parlare con il vecchietto. Mi raccontò che sei anni prima il parroco della cattedrale era stato arrestato e condannato a 25 anni di reclusione.
Ho chiesto se volessero un prete. Sì, ma non sapevano dove cercarlo.
Allora dissi che ero un sacerdote, che ero stato liberato dal lager sovietico e che potevo iniziare il mio servizio di pastore delle anime.
Insieme iniziammo le pratiche presso le autorità affinché mi registrassero come parroco della cattedrale.
Da quel momento venni fermato più di una volta per strada, fatto salire in macchina e portato nella sede del KGB, dove mi trattenevano fino all'alba, e, cercando di convincermi ad abbandonare il sacerdozio, mi promettevano in cambio delle sistemazioni vantaggiose.
Ai miei categorici rifiuti minacciavano di mandarmi di nuovo in prigione.
Dopo cinque mesi rinunciarono finalmente ai loro tentativi e mi diedero il permesso di svolgere le funzioni di parroco a Pinsk.
La parrocchia si estendeva per migliaia di chilometri e, non di rado la cattedrale veniva visitata dai fedeli residenti nei luoghi più lontani da Pinsk.
Nelle campagne e nei villaggi i fedeli si radunavano nelle case, con le persiane chiuse, per celebrare insieme la messa.
Sempre di sera si radunavano al cimitero per cantare i canti religiosi, ma senza alzare troppo la voce, per non essere sentiti nell'ufficio amministrativo.
Ho sempre ritenuto la testimonianza di questi fedeli come una delle cose più preziose. Sono proprio loro, queste proverbiali "babushke", che sono riuscite a conservare la fede in Dio negli anni della persecuzione, quando mancavano sia le chiese che i sacerdoti.
È a loro che dobbiamo essere grati per la fede che non è scomparsa da queste terre così pesantemente oppresse.
Anche se loro non hanno pagato con il sangue per la loro fede, tuttavia la loro vita portava i segni del martirio. Sono figure eroiche, anche se nessuno innalzerà loro un monumento.
Dopo il 1991, con l'incarico di Arcivescovo, ho percorso lo sterminato territorio della Bielorussia, trovando la conferma di innumerevoli testimonianze di fede.
In una parrocchia mi venne incontro un giovane sacerdote venuto dalla Polonia per lavorare come pastore delle anime in Bielorussia.
La chiesa era un edificio semidistrutto, senza tetto nè porte; c'era un gruppo di donne che per la prima volta nella loro vita incontravano un vescovo cattolico, proprio lì davanti alla loro chiesa distrutta.
Ho chiesto al giovane sacerdote che cosa gli aveva fatto abbandonare la sua terra per venire in questo luogo desolato. «Padre, appartengo alla categoria dei pazzi di Dio», fu la sua risposta.
L’ho abbracciato, baciato e gli ho sussurrato all'orecchio: «Allora, caro padre, sia pazzo fino in fondo».
E lo fu! Ha rialzato dalle rovine tre chiese che non sono ancora riuscito a riconsacrare.
Nel frattempo abbiamo visto la caduta dell’Unione Sovietica e la formazione della Repubblica indipendente di Bielorussia.
Durante un'udienza speciale ai pellegrini provenienti dalla Bielorussia il Santo Padre ha voluto rendere omaggio a tutti coloro che, a prezzo d'indicibili sofferenze ed anche del martirio, sono riusciti a conservare la propria dignità di credenti.
I templi vecchi e i nuovi si riempiono di fedeli, tra i quali sono sempre di più i bambini e i giovani che partecipano attivamente al catechismo.
Ringrazio infinitamente Dio perché mi ha concesso la grazia di sopravvivere ai lunghi anni di di persecuzione e di essere ora un testimone della liberazione, della rinascita e dello sviluppo della Chiesa in Bielorussia.


Lasciateci entrare, se potete

Appena ieri il medico vi ha detto che per il vostro famigliare non c'è più nulla da fare.
La chiarezza agghiacciante con cui la testa percepisce questo fatto impedisce al cuore di comprenderlo.
Molti di noi ci sono passati. NO! Non può essere! Lui no! Lei mai!
Come può una famiglia sopportare una perdita annunciata, e soprattutto il lento e doloroso progredire verso quell'epilogo? Dove trovare la forza per accompagnare il percorso?
Che fare di giorno, come passare la notte, come rispondere o rinviare le domande aperte o silenziose del malato?
Tutta la famiglia si ricompatta in un cerchio d'acciaio.
Sì. Troverà tutto l'amore di cui è capace; sì, starà in piedi salda e forte finché è necessario, dando tutto quanto è umanamente possibile dare. A piangere ci penserà dopo. Sì. Ma l'amore basta per questo?
Come essere sicuri che in nome di quell'amore, che rende ancora più cara ed esclusivamente nostra la persona, riusciremo a fare tutto ciò che concretamente serve a questa sua esperienza di vita? Perché di vita ancora si tratta, e di un delicato segmento di vita, con bisogni particolari.
Noi possiamo aiutare, se ci lasciate entrare.
Lo stiamo facendo da anni, accompagnando la famiglie e i loro cari in questo passaggio. Passaggi, la nostra associazione di volontari, può mettere al vostro fianco competenze specialistiche per affrontare questa fase. Con amore e con rispetto.
Amore per la persona, per i suoi diritti, da spendere generosamente, ora.
Rispetto per la famiglia che deve superare una doppia prova: quella di dimenticare se stessa, il dolore e l'ansia, e di concentrarsi nell'impegno a garantire tutta la qualità di vita possibile. Perché di vita sempre si tratta.
Noi ci siamo. Con medici, psicologi, infermieri, con l'assistenza a domicilio, tutto assolutamente gratuito.
Con strumenti e tutele di cui al momento nemmeno pensate di avere bisogno perché forse ancora non sapete che esistono in questa forma.
Noi siamo disponibili, con i nostri volontari che aspettano di essere chiamati.
Da quattro anni siamo presenti sul territorio e siamo ancora più motivati a continuare dall'urgenza di un bisogno che richiede presenze coinvolte e flessibili.
Siamo consapevoli che solo le associazioni e i volontari riescono a rispondere in modo personale al momento complessivo, mettendosi al vostro fianco, diventando famiglia accanto alle vostre famiglie.

ASSOCIAZIONE PASSAGGI ONLUS 333124 59 395
Gina Biaggi


Voci da terre lontane


Nel 2003 abbiamo avuto modo di ascoltare, durante la celebrazione domenicale dell’Eucaristia, alcuni missionari che ci hanno parlato del loro servizio a favore dei più poveri, compiuto nel nome di Cristo.
Il Vescovo di Bagdad ci ha fatto riflettere sulla missione: annunciare Cristo e la sua salvezza che dà dignità a tutto l’uomo e a tutta la sua vita, che porta la pace, che si fa tutto per tutti.
Accogliamo qui la voce di una suora, voce che arriva tramite lettera dal Sudan, terra martoriata e di frontiera per i Cristiani.

Carissimo Don Pierangelo,
tramite mia sorella ho ricevuto la tua offerta di 400 dollari. Ti ringrazio, perché tu pensi sempre alla mia missione. Veramente tu hai uno spirito missionario e sei sensibile ai bisogni degli altri, soprattutto dei più poveri e abbandonati.
Le necessità della nostra scuola sono veramente molte. Nonostante la retta scolastica, che è in realtà piuttosto simbolica, non riusciamo a coprire tutte le spese della scuola anche perché diversi bambini, provenienti da famiglie molto povere, non possono permettersi di pagare.
Senza il nostro intervento e aiuto sarebbero privati dell’istruzione e dell’educazione, che sono un diritto di tutti (e non esclusivo di alcuni), senza distinzioni o discriminazioni di razza, classe sociale o credo.
Per togliere dalla strada il maggior numero possibile di bambini e quindi dare loro la possibilità di studiare, quest’anno apriremo una terza classe di prima elementare. Ciò comporterà l’aumento del numero degli insegnanti e delle razioni di cibo, perché noi offriamo ai bambini della scuola un pasto giornaliero che, per molti di loro, è l’unico della giornata.
Quest’anno abbiamo avuto una grande soddisfazione: agli esami finali della ottava classe (sarebbe la terza media in Italia) il primo, il terzo e il quarto in assoluto di tutto lo stato dell’Uppe Nile (uno degli stati che compongono il Sudan) sono risultati alunni della nostra scuola.
I genitori ci sono riconoscenti. Ti confesso che nella scuola sto mettendo tutte le mie energie, perché stiamo preparando e formando il futuro di questa nazione.
Grazie ancora per la tua generosità e non dimenticarti di noi.
Ricordiamoci al Signore vicendevolmente.

Suor Agnese Elli—Malakal-Sudan


"I poveri sono tanti e tutti hanno fame di Dio, di pane, di amore”

È’ la scritta che sta sul tabellone, in fondo alla nostra chiesa, che riporta informazioni e iniziative a favore dei missionari nel mondo: tutti i missionari in qualsiasi parte essi svolgano la loro missione.
Il Gruppo Missionario della nostra parrocchia ha scelto di darsi un nome: “Gruppo missionario Madre Teresa”, riconoscendo in questa donna, suora e beata una grande testimone del Vangelo, alla quale affidare il nostro servizio e della quale imitare la vita
Ricordando a tutti che prima di qualsiasi altro aiuto viene la preghiera, perché solo Dio può tutto, desideriamo qui ringraziare tutte le persone che con il loro aiuto hanno reso possibile un sostegno economico ai vari missionari aiutati dalla nostra parrocchia.
2003 inviati ai missionari 14.885 €, così suddivisi
1.560 alla Diocesi per le sue iniziative missionarie, 2.500 a Suor Alda (Ecuador), 1.750 a Suor Annamaria (Brasile), 900 a Suor Agnese (Palestina), 400 a Suor Agnese (Sudan), 500 a Suor Gabriella (Giordania), 900 alle suore di Nazareth, 200 a Fra’ Roberto, 3.000 al Vescovo di Bagdad, 1.500 al Vescovo Alvaro (Guatemala), 1.375 a seminaristi rumeni, 300 a una famiglia rumena.
Raccolti 15.124 €:: avanzo dell’anno precedente 356, Avvento di carità 2.060, Quaresima di fraternità 1.750, Giornata missionaria 1.770, Oratori 1.000, “Quatar pass” (Oratori) 3.870, lavaggio auto (Oratori) 1.218, offerte 3.100. In cassa, alla fine del 2003, 239 €.
Nel corso degli ultimi anni l’attenzione ai bisogni dei più poveri è andato aumentando, come dimostrano anche le somme relative agli aiuti inviati:
7.410 €, nel 2001; 9.263, nel 2002; 14.885, nel 2003.
Preghiamo Dio, perché mantenga sempre vivo nella nostra comunità l’attenzione verso i tanti poveri, in tutte le parti del mondo.

Celebrare la bellezza

La lettura della Parola, durante la celebrazione dell’Eucaristia
1. II libro dal quale si leggono le letture della Messa si chiama Lezionario.
2. Non si leggono le letture dal foglietto, per rispetto alla Parola di Dio, ma solo dal libro e dal luogo stabilito, cioè l'ambone.
3. Le letture della Messa sono: prima lettura (dall'Antico Testa¬mento); salmo responsoriale (parte di un salmo intercalato da un ritornello); seconda lettura (dal Nuovo Testamento); Vangelo (Luca per quest'anno liturgico C)
4. I lettori sono coloro che proclamano le letture nella liturgia e si preparano bene a compiere questo servizio per la comunità. Possono essere lettori istituiti (ai quali è dato questo incarico in for¬ma ufficiale) o lettori di fatto, (cioè scelti volta per volta).
5. Nella Messa occorrono due lettori; il Vangelo è proclamato dal sacerdote o dal diacono (in alcuni casi particolari di necessità anche da un laico).
6. Quando il lettore sale all'ambone non dice mai: prima lettu¬ra... ma solo annuncia da quale libro della Scrittura è presa la let¬tura (es: dal libro del profeta Isaia). Non legge nemmeno il titoletto in corsivo che si trova nel lezionario. Al termine della proclama¬zione non dice mai: E' Parola di Dio, ma Parola di Dio, poiché si tratta di un atto di fede e di adesione.
7. II lettore legge sempre prima il brano che dovrà proclamare, senza fretta, rispettando accenti, punteggiatura, pause... per rispetto alla comunità che ascolta. Egli presta la voce alla Chiesa. Deve accertarsi prima che anche il microfono funzioni bene.
8. II lettore assume un contegno semplice e dignitoso nel modo di vestire, poiché non è su di se che deve attirare l'attenzione ma sulla Parola di Dio.
9. L'ascolto è un grande atto liturgico: quando nella Chiesa si leggono le divine Scritture è il Signore che parla. Se una lettura è fatta bene invita i fedeli all'ascolto senza leggere dal foglietto.
10. A leggere la Parola di Dio s'impara leggendo ad alta voce e facendosi dire da altri i difetti e gli errori da evitare.