Cari fratelli
e care sorelle,
è ancora Giovanni l’evangelista, l’amico dello sposo
che ci introduce nel tempo sacro della Quaresima indicandoci il Verbo
fatto carne come Colui che solo è in grado di poter vincere il
peccato del mondo; quel peccato che esprime il disordine, il male che
insidia la vita dell'uomo e nello stesso tempo riassume tutti i nostri
peccati personali dei quali ciascuno di noi è responsabile, vittima
e carnefice degli altri.
Gesù, il Verbo della vita, fonte di salvezza perché vincitore
del male (Ap) è il caso serio, è il fondamento della nostra
fede nel quale Dio Padre si è rivelato, ha manifestato la sua
Gloria e ha donato luce, senso e futuro alla fragile vita umana.
Offuscati, sedotti, ingannati dalle tenebre e dal male, con Lui siamo
vincitori di ogni male e con la certezza che il dominio del male e di
satana non è eterno.
Da qui nasce l'obbligo, l'impegno e la testimonianza a combattere ogni
forma di male, di peccato che offusca e avvilisce la nostra vita e quella
dei fratelli vicini e lontani.
Quaresima è tempo di ripensamento, di rinnovamento, di conversione
e di combattimento spirituale alla luce della Sacra Scrittura che pone
Dio al centro dell'esistenza, l'Unico capace di indicarci il bene, di
spronarci al bene e di farcelo godere nella sua bellezza.
Sobrietà, silenzio, digiuno, preghiera, solitudine, Sacramenti,
fraternità e carità sono altri cammini e mezzi indispensabili
per rientrare in se stessi, in quella armonia che è segno della
Presenza di Dio in noi.
A tutti voi, fratelli e sorelle, auguro di iniziare con gioia e impegno
l’itinerario dei quaranta giorni che conduce alla celebrazione
della Pasqua di Gesù e cioè alla vittoria con Gesù
di qualche peccato personale privato o sociale finalmente sconfitto.
Buona Pasqua!
Gesù risorga nel cuore di ciascuno di noi!
Don Pierangelo

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PAOLO VI, IL TIMONIERE DEL CONCILIO
A venticinque anni dalla morte di Paolo VI, vogliamo
qui ricordarlo e riflettere sulla sua personalità, sulla sua
missione nella Chiesa del Concilio Vaticano II.
Ci aiuta il libro di Andrea Tornelli "Paolo sesto, il timoniere
del Concilio"
"Paolo VI è stato un Pontefice che ha saputo dialogare fino
in fondo con il mondo moderno, che ha saputo soffrire fino in fondo
per la Chiesa, che ha saputo difendere fino in fondo l'essenziale della
tradizione cattolica.
Una parte tradizionalista continua a criticare papa Montini per aver
avallato la riforma liturgica post-conciliare, per le sue spinte ecumeniche,
per il suo dialogo franco e sincero con il mondo moderno.
Esistono critiche che sembrano specializzate nell'attacco e nelle accuse
contro Paolo VI, "reo" di non aver saputo contrastare la crisi
della Chiesa.
Purtroppo la figura di Paolo VI, un po’ schiacciata tra quelle
del suo predecessore (Giovanni XXIII) e del suo successore (Giovanni
Paolo II), è ancora oggi oggetto di vari attacchi.
Una parte tradizionalista continua a criticare papa Montini per aver
avallato la riforma liturgica post-conciliare, per le sue spinte ecumeniche,
per il suo dialogo franco e sincero con il mondo moderno.
Da un’altra parte si attribuisce a Montini il mancato compimento
delle riforme conciliari, lo si accusa di aver il qualche modo “frenato”
la corsa iniziale del Vaticano II, di non aver permesso che le energie
nuove del Concilio si esprimessero fino in fondo.
Così si finisce per contrapporre “l’aperto”
Giovanni XXIII, che con grande coraggio e tanta speranza diede inizio
al Concilio, al “chiuso” Paolo Vi, che dovette guidare tre
delle quattro sessioni con ciliari, condurre in porto la nave che il
suo predecessore aveva fatto salpare in mare aperto, ma al quale si
contesta di non aver corrisposto alle attese.
Ci si riferisce, in questo caso, a quello “spirito del Concilio”
che ancora oggi viene utilizzato per giustificare abusi di ogni genere
(anche, ma non solo, in campo liturgico), facendo finta di dimenticare
ciò che è scritto nei testi conciliari.
Paolo VI è stato un difensore del “deposito di fede”
della Chiesa.
È’ stato un Papa fedele, che ha saputo interpretare la
modernità, ha saputo scorgere già negli anni Sessanta
(quando la Chiesa conciliare era pervasa dall’ottimismo) i segni
della profonda cristianizzazione in atto ha voluto dialogare con tutti
e farsi missionario, inaugurando, con i suoi nove viaggi internazionali,
uno stile papale nuovo.
Ha saputo dare una spinta eccezionale all’ecumenismo, compiendo
gesti più che pronunciare parole”.
Nella prefazione al libro don Giussani scrive tra l’altro: “Le
parole pronunciate il 23 luglio 1975 da Paolo VI sono per me come un
vertice, una sintesi di tutta la sua preoccupazione di Papa per la vita
reale della Chiesa, realtà umana e divina che cammina nella storia:
“Dov’è il Popolo di Dio del quale si è tanto
parlato e tuttora si parla? Dov’è?”.
Gli ultimi anni del pontificato di Paolo VI furono carichi di dolore
per la Chiesa di Dio, provata da mille pericoli. Egli avvertiva la presenza
del Maligno in lotta con la realtà storica della Chiesa, quasi
schiacciandola in certi momenti o luoghi.
Ma proprio questa percezione rinnovò in lui la certezza purissima
della più forte azione del Signore operante in un “piccolo
gregge” a Lui fedele: la comunità cristiana, nata per l’energia
dello Spirito di Cristo risorto e unita intorno a Pietro e ai successori
degli apostoli.
Questa certezza gli faceva dire: “Siate contenti, siate fedeli,
siate forti e siate lieti di portare intorno a voi la testimonianza
che la fede cristiana è forte, è lieta, bella e capace
di trasformare davvero e con l’amore la società in cui
essa si inserisce”.
Come conclusione di questo ricordo di papa Montini ecco alcune frasi
tratte dal suo Testamento, che rappresentano una sintesi efficace del
suo modo di sentire:
“ E circa ciò che più conta, congedandomi dalla
scena di questo mondo e andando incontro al giudizio e alla misericordia
di Dio: dovrei dire tante cose, tante.
Sullo stato della Chiesa: abbia essa a dare ascolto a qualche nostra
parola, che per lei pronunciammo con gravità e con amore.
Sul Concilio: si veda di condurlo a buon termine e si provveda ad eseguirne
fedelmente le prescrizioni.
Sull’ecumenismo: si prosegua l’opera di avvicinamento con
i fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con
grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica.
Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi,
i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo.”

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“Io ebreo a scuola con
il Crocifisso”
Ospitiamo in questa pagina alcuni
stralci dell'intervento di Aaron Fait, un biologo ebreo italiano (nato
a Bolzano nel 1972, è cittadino israeliano dal 1992) a proposito
delle polemiche suscitate negli scorsi mesi dalla richiesta di rimuovere
il Crocifisso dalle aule della scuola elementare di Offena, in provincia
dell'Aquila.
“Era lì appeso, in ogni classe, al centro del muro, sopra
la lavagna. Cambiavo classe, crescevo e lui rimaneva lì, immutato.
A volte il colore era diverso ma sempre presente, sempre nella solita
posizione.
Sono cresciuto con il crocifisso sul muro. Devo dire che tra noi c'era
un che di complicità, tutti e due ebrei, tutti e due alle lezioni
di latino, di tedesco, di matematica.
Non mi sono mai sentito minacciato dalla sua presenza, né come
bimbo e poi adolescente, né come ebreo, forse perché non
gli appiccicavo significati e storie di cui ero poco cosciente.
Sono state rare le volte in cui l'ho guardato con timore, e ogni volta
era abbinata a una frase, un evento, sempre e comunque abbinato a una
persona, che lo prendeva figurativamente in mano ficcandomelo davanti
agli occhi con frasi sottili, che ancora non riuscivo a controbattere.
Ma in generale ci siamo frequentati costantemente per poco più
di 13 anni, compagni di scuola, e a volta di ore extra-scolastiche dove
lo ritrovavo, magari durante la trasmissione del film di san Francesco,
in una parrocchia di piazza Gries a Bolzano, vicino alla mia scuola
elementare.
Sono quasi 12 anni che non lo vedo più se non quando visito le
regioni in cui sono nato e cresciuto. In questi anni mi sono avvicinato
fortemente al popolo di cui ambedue facciamo parte, mi sono avvicinato
ai luoghi in cui lui è nato e cresciuto, nei luoghi in cui i
nostri avi hanno ricevuto la Torah, e in cui i rabbini hanno stilato
il Talmud.
Vivo, cammino, visito i luoghi in cui lui ha predicato, cammino nei
luoghi in cui lui e insieme a lui decine, centinaia e migliaia del nostro
popolo sono stati uccisi, torturati, violati dai conquistatori di Roma.
Gesù in croce è stato parte della mia giovinezza.
Che cosa vuol dire togliere Gesù dal muro?
Forse può significare la vera laicità dello Stato.
Potrebbe ridare a Gesù il suo posto, il suo significato.
Tenerlo appeso al muro senza dargli consistenza e a volte usarlo con
fini contrari al suo stesso messaggio è controproducente o semplicemente
inutile.
Ore di religione cristiana, passate in classe a far confusione, o fuori
dalla classe a far niente, non è cultura, è la perdita
di essa, è creare persone che non possono dialogare, che non
sanno chi sono.
Che cosa vuol dire togliere Gesù dal muro? É forse su
questo che è fondata la cultura italiana? O la religione cristiana?
A che cosa serve un simbolo lasciato a prender polvere senza essere
abbinato a nessun discorso?
Perché non fare una scuola statale con ore di studio religioso
cristiano serio, di studi teologici seri, per coloro che intendono praticare
la religione cristiana?
Perché fa tanta paura togliere il crocifisso dal muro? Forse
perché è tutto lì?
Forse perché ci si sente così deboli, così poco
fermi e poco radicati ormai nella propria religione che un italiano
di religione diversa è subito visto come una minaccia alla «cultura»
italiana.
Ho vissuto bene con Gesù sul muro, ho vissuto bene tra i miei
compagni di religione diversa, perché eravamo tutti italiani
e perché la cultura italiana non è monopolio dei fedeli
di Cristo, né dei loro fratelli maggiori o cugini, ma di tutti
coloro che la vivono, la parlano l'ascoltano, la studiano e la mangiano.
Forse la cultura in Italia è in crisi?
Allora si cerca di mantenere i simboli, per proteggere quello che con
le proprie mani non si ha più la forza di fare, o la voglia di
cambiare.
Un processo simile a quello nello Stato di Israele.
Qui ci sono ebrei che sanno di essere ebrei, ma non sanno cosa sia un
ebreo, e che credono che il loro ebraismo sia difeso da un libro, o
dalla stella di Davide che hanno appesa al collo, o dal libro dei Salmi
che tengono appeso in macchina o da qualche chilometro quadrato di terra.
Forse la risposta non è indignarsi dell'arabo che chiede la rimozione
del simbolo di una fede in cui lui non crede.
Forse la risposta è cercare di nuovo ciò che è
andato perso, tra i muri delle proprie case, delle proprie parrocchie,
del Parlamento; perso tra le ore di «religione» dei propri
figli, perso nel modo in cui li educhiamo e nel modo in cui buttiamo
su altri responsabilità nostre: sulla Chiesa, sul maestro, sul
prete, o addirittura su un pezzo di legno raffigurante un ebreo agonizzante
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“Il mio lungo
inverno nei gulag di Stalin”
di Kazimierz Swiatek – oggi arcivescovo di Minsk in Bielorussia
Ai tempi di Stalin tutto
il territorio dell'Unione Sovietica era altro un enorme gulag, dove
migliaia di reclusi nei vari lager morivano a causa delle disumane condizioni
d'esistenza e di lavoro.
Dopo essere stato incarcerato per due volte
nelle prigioni sovietiche, inclusi due mesi nella cella per condannati
a morte, venni mandato al lager dei lavori forzati a regime speciale.
Per dieci anni sono rimasto completamente isolato dalla realtà
del mondo, in particolare dalla realtà della Bielorussia e della
sua Chiesa. Sono stato recluso in un estremo isolamento e ciò
non mi ha permesso né d'incontrare alcun sacerdote cattolico
né d'amministrare i sacramento della confessione.
Soltanto negli ultimi anni di lager sono
riuscito ad avere l'ostia e il vino per celebrare di nascosto la santa
messa. Come calice usavo una tazza di ceramica e per l'ostia consacrata
da portare ai cattolici una scatola di fiammiferi.
Con un accanimento davvero satanico venivano
perseguitati tutti quelli che credevano in Dio e cercavano di seguire
i riti religiosi.
Chi, nonostante le terribili persecuzioni, perseverava nella fede si
sentiva abbandonato e indifeso. L'Occidente, pur conoscendo la situazione
della Chiesa nell'Unione Sovietica, spinto da certe ragioni, forse anche
politiche, non è intervenuto in difesa dei credenti oppressi
e perseguitati dal regime.
Eppure la Chiesa in Bielorussia, pur senza
le sue strutture ecclesiastiche, sofferente, talvolta anche sanguinante,
rimaneva viva ed attiva.
Nel 1954, dopo dieci anni passati nei gulag,
venni liberato.
Mi diressi non senza difficoltà verso Pinsk. Entrai nella cattedrale
dove nel 1939, all'atto del conferimento dei voti sacerdotali, avevo
giurato obbedienza e fedeltà a Dio e mi fermai sotto il coro,
appoggiato alla colonna, con il cuore colmo di gioia e di gratitudine.
Era domenica. Nelle prime file c'erano una trentina di donne anziane,
mentre un omino anziano e claudicante stava preparando l'altare per
la santa messa: posò sull'altare la pianeta e il calice, accese
le candele, suonò il campanello.... ma davanti all'altare non
arrivò nessun prete.
Le donne si erano alzate e una di loro, facendo il segno di croce ad
alta voce, annunciò il nome della domenica ed iniziò con
tutte le altre a dire le preghiere introduttive della santa messa.
Una delle donne poi si alzò e prese a leggere il Vangelo.
Dunque, era una messa senza il sacerdote!
Finita questa straordinaria celebrazione
sono entrato nella sacrestia per parlare con il vecchietto. Mi raccontò
che sei anni prima il parroco della cattedrale era stato arrestato e
condannato a 25 anni di reclusione.
Ho chiesto se volessero un prete. Sì, ma non sapevano dove cercarlo.
Allora dissi che ero un sacerdote, che
ero stato liberato dal lager sovietico e che potevo iniziare il mio
servizio di pastore delle anime.
Insieme iniziammo le pratiche presso le autorità affinché
mi registrassero come parroco della cattedrale.
Da quel momento venni fermato più
di una volta per strada, fatto salire in macchina e portato nella sede
del KGB, dove mi trattenevano fino all'alba, e, cercando di convincermi
ad abbandonare il sacerdozio, mi promettevano in cambio delle sistemazioni
vantaggiose.
Ai miei categorici rifiuti minacciavano di mandarmi di nuovo in prigione.
Dopo cinque mesi rinunciarono finalmente
ai loro tentativi e mi diedero il permesso di svolgere le funzioni di
parroco a Pinsk.
La parrocchia si estendeva per migliaia
di chilometri e, non di rado la cattedrale veniva visitata dai fedeli
residenti nei luoghi più lontani da Pinsk.
Nelle campagne e nei villaggi i fedeli
si radunavano nelle case, con le persiane chiuse, per celebrare insieme
la messa.
Sempre di sera si radunavano al cimitero
per cantare i canti religiosi, ma senza alzare troppo la voce, per non
essere sentiti nell'ufficio amministrativo.
Ho sempre ritenuto la testimonianza di questi fedeli come una delle
cose più preziose. Sono proprio loro, queste proverbiali "babushke",
che sono riuscite a conservare la fede in Dio negli anni della persecuzione,
quando mancavano sia le chiese che i sacerdoti.
È a loro che dobbiamo essere grati
per la fede che non è scomparsa da queste terre così pesantemente
oppresse.
Anche se loro non hanno pagato con il sangue
per la loro fede, tuttavia la loro vita portava i segni del martirio.
Sono figure eroiche, anche se nessuno innalzerà loro un monumento.
Dopo il 1991, con l'incarico di Arcivescovo,
ho percorso lo sterminato territorio della Bielorussia, trovando la
conferma di innumerevoli testimonianze di fede.
In una parrocchia mi venne incontro un
giovane sacerdote venuto dalla Polonia per lavorare come pastore delle
anime in Bielorussia.
La chiesa era un edificio semidistrutto, senza tetto nè porte;
c'era un gruppo di donne che per la prima volta nella loro vita incontravano
un vescovo cattolico, proprio lì davanti alla loro chiesa distrutta.
Ho chiesto
al giovane sacerdote che cosa gli aveva fatto abbandonare la sua terra
per venire in questo luogo desolato. «Padre, appartengo alla categoria
dei pazzi di Dio», fu la sua risposta.
L’ho abbracciato, baciato e gli ho sussurrato all'orecchio: «Allora,
caro padre, sia pazzo fino in fondo».
E lo fu! Ha rialzato dalle rovine tre chiese che non sono ancora riuscito
a riconsacrare.
Nel frattempo abbiamo visto la caduta dell’Unione
Sovietica e la formazione della Repubblica indipendente di Bielorussia.
Durante un'udienza speciale ai pellegrini
provenienti dalla Bielorussia il Santo Padre ha voluto rendere omaggio
a tutti coloro che, a prezzo d'indicibili sofferenze ed anche del martirio,
sono riusciti a conservare la propria dignità di credenti.
I templi vecchi e i nuovi si riempiono di fedeli, tra i quali sono sempre
di più i bambini e i giovani che partecipano attivamente al catechismo.
Ringrazio infinitamente Dio perché
mi ha concesso la grazia di sopravvivere ai lunghi anni di di persecuzione
e di essere ora un testimone della liberazione, della rinascita e dello
sviluppo della Chiesa in Bielorussia.

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Lasciateci
entrare, se potete
Appena ieri il medico vi ha detto che per il vostro famigliare non c'è
più nulla da fare.
La chiarezza agghiacciante con cui la testa percepisce questo fatto
impedisce al cuore di comprenderlo.
Molti di noi ci sono passati. NO! Non può essere! Lui no! Lei
mai!
Come può una famiglia sopportare una perdita annunciata, e soprattutto
il lento e doloroso progredire verso quell'epilogo? Dove trovare la
forza per accompagnare il percorso?
Che fare di giorno, come passare la notte, come rispondere o rinviare
le domande aperte o silenziose del malato?
Tutta la famiglia si ricompatta in un cerchio d'acciaio.
Sì. Troverà tutto l'amore di cui è capace; sì,
starà in piedi salda e forte finché è necessario,
dando tutto quanto è umanamente possibile dare. A piangere ci
penserà dopo. Sì. Ma l'amore basta per questo?
Come essere sicuri che in nome di quell'amore, che rende ancora più
cara ed esclusivamente nostra la persona, riusciremo a fare tutto ciò
che concretamente serve a questa sua esperienza di vita? Perché
di vita ancora si tratta, e di un delicato segmento di vita, con bisogni
particolari.
Noi possiamo aiutare, se ci lasciate entrare.
Lo stiamo facendo da anni, accompagnando la famiglie e i loro cari in
questo passaggio. Passaggi, la nostra associazione di volontari, può
mettere al vostro fianco competenze specialistiche per affrontare questa
fase. Con amore e con rispetto.
Amore per la persona, per i suoi diritti, da spendere generosamente,
ora.
Rispetto per la famiglia che deve superare una doppia prova: quella
di dimenticare se stessa, il dolore e l'ansia, e di concentrarsi nell'impegno
a garantire tutta la qualità di vita possibile. Perché
di vita sempre si tratta.
Noi ci siamo. Con medici, psicologi, infermieri, con l'assistenza a
domicilio, tutto assolutamente gratuito.
Con strumenti e tutele di cui al momento nemmeno pensate di avere bisogno
perché forse ancora non sapete che esistono in questa forma.
Noi siamo disponibili, con i nostri volontari che aspettano di essere
chiamati.
Da quattro anni siamo presenti sul territorio e siamo ancora più
motivati a continuare dall'urgenza di un bisogno che richiede presenze
coinvolte e flessibili.
Siamo consapevoli che solo le associazioni e i volontari riescono a
rispondere in modo personale al momento complessivo, mettendosi al vostro
fianco, diventando famiglia accanto alle vostre famiglie.
ASSOCIAZIONE PASSAGGI ONLUS 333124 59 395
Gina Biaggi

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Voci da terre lontane
Nel 2003 abbiamo avuto modo di ascoltare, durante la celebrazione domenicale
dell’Eucaristia, alcuni missionari che ci hanno parlato del loro
servizio a favore dei più poveri, compiuto nel nome di Cristo.
Il Vescovo di Bagdad ci ha fatto riflettere sulla missione: annunciare
Cristo e la sua salvezza che dà dignità a tutto l’uomo
e a tutta la sua vita, che porta la pace, che si fa tutto per tutti.
Accogliamo qui la voce di una suora, voce che arriva tramite lettera
dal Sudan, terra martoriata e di frontiera per i Cristiani.
Carissimo Don Pierangelo,
tramite mia sorella ho ricevuto la tua offerta di 400 dollari. Ti ringrazio,
perché tu pensi sempre alla mia missione. Veramente tu hai uno
spirito missionario e sei sensibile ai bisogni degli altri, soprattutto
dei più poveri e abbandonati.
Le necessità della nostra scuola sono veramente molte. Nonostante
la retta scolastica, che è in realtà piuttosto simbolica,
non riusciamo a coprire tutte le spese della scuola anche perché
diversi bambini, provenienti da famiglie molto povere, non possono permettersi
di pagare.
Senza il nostro intervento e aiuto sarebbero privati dell’istruzione
e dell’educazione, che sono un diritto di tutti (e non esclusivo
di alcuni), senza distinzioni o discriminazioni di razza, classe sociale
o credo.
Per togliere dalla strada il maggior numero possibile di bambini e quindi
dare loro la possibilità di studiare, quest’anno apriremo
una terza classe di prima elementare. Ciò comporterà l’aumento
del numero degli insegnanti e delle razioni di cibo, perché noi
offriamo ai bambini della scuola un pasto giornaliero che, per molti
di loro, è l’unico della giornata.
Quest’anno abbiamo avuto una grande soddisfazione: agli esami
finali della ottava classe (sarebbe la terza media in Italia) il primo,
il terzo e il quarto in assoluto di tutto lo stato dell’Uppe Nile
(uno degli stati che compongono il Sudan) sono risultati alunni della
nostra scuola.
I genitori ci sono riconoscenti. Ti confesso che nella scuola sto mettendo
tutte le mie energie, perché stiamo preparando e formando il
futuro di questa nazione.
Grazie ancora per la tua generosità e non dimenticarti di noi.
Ricordiamoci al Signore vicendevolmente.
Suor Agnese Elli—Malakal-Sudan

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"I poveri sono
tanti e tutti hanno fame di Dio, di pane, di amore” È’
la scritta che sta sul tabellone, in fondo alla nostra chiesa, che riporta
informazioni e iniziative a favore dei missionari nel mondo: tutti i
missionari in qualsiasi parte essi svolgano la loro missione.
Il Gruppo Missionario della nostra parrocchia ha scelto di darsi un
nome: “Gruppo missionario Madre Teresa”, riconoscendo in
questa donna, suora e beata una grande testimone del Vangelo, alla quale
affidare il nostro servizio e della quale imitare la vita
Ricordando a tutti che prima di qualsiasi altro aiuto viene la preghiera,
perché solo Dio può tutto, desideriamo qui ringraziare
tutte le persone che con il loro aiuto hanno reso possibile un sostegno
economico ai vari missionari aiutati dalla nostra parrocchia.
2003 inviati ai missionari 14.885 €, così suddivisi
1.560 alla Diocesi per le sue iniziative missionarie, 2.500 a Suor Alda
(Ecuador), 1.750 a Suor Annamaria (Brasile), 900 a Suor Agnese (Palestina),
400 a Suor Agnese (Sudan), 500 a Suor Gabriella (Giordania), 900 alle
suore di Nazareth, 200 a Fra’ Roberto, 3.000 al Vescovo di Bagdad,
1.500 al Vescovo Alvaro (Guatemala), 1.375 a seminaristi rumeni, 300
a una famiglia rumena.
Raccolti 15.124 €:: avanzo dell’anno precedente 356, Avvento
di carità 2.060, Quaresima di fraternità 1.750, Giornata
missionaria 1.770, Oratori 1.000, “Quatar pass” (Oratori)
3.870, lavaggio auto (Oratori) 1.218, offerte 3.100. In cassa, alla
fine del 2003, 239 €.
Nel corso degli ultimi anni l’attenzione ai bisogni dei più
poveri è andato aumentando, come dimostrano anche le somme relative
agli aiuti inviati:
7.410 €, nel 2001; 9.263, nel 2002; 14.885, nel 2003.
Preghiamo Dio, perché mantenga sempre vivo nella nostra comunità
l’attenzione verso i tanti poveri, in tutte le parti del mondo.

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Celebrare la bellezza
La lettura della Parola, durante
la celebrazione dell’Eucaristia
1. II libro dal quale si leggono le letture della Messa si chiama Lezionario.
2. Non si leggono le letture dal foglietto, per rispetto alla Parola
di Dio, ma solo dal libro e dal luogo stabilito, cioè l'ambone.
3. Le letture della Messa sono: prima lettura (dall'Antico Testa¬mento);
salmo responsoriale (parte di un salmo intercalato da un ritornello);
seconda lettura (dal Nuovo Testamento); Vangelo (Luca per quest'anno
liturgico C)
4. I lettori sono coloro che proclamano le letture nella liturgia e
si preparano bene a compiere questo servizio per la comunità.
Possono essere lettori istituiti (ai quali è dato questo incarico
in for¬ma ufficiale) o lettori di fatto, (cioè scelti volta
per volta).
5. Nella Messa occorrono due lettori; il Vangelo è proclamato
dal sacerdote o dal diacono (in alcuni casi particolari di necessità
anche da un laico).
6. Quando il lettore sale all'ambone non dice mai: prima lettu¬ra...
ma solo annuncia da quale libro della Scrittura è presa la let¬tura
(es: dal libro del profeta Isaia). Non legge nemmeno il titoletto in
corsivo che si trova nel lezionario. Al termine della proclama¬zione
non dice mai: E' Parola di Dio, ma Parola di Dio, poiché si tratta
di un atto di fede e di adesione.
7. II lettore legge sempre prima il brano che dovrà proclamare,
senza fretta, rispettando accenti, punteggiatura, pause... per rispetto
alla comunità che ascolta. Egli presta la voce alla Chiesa. Deve
accertarsi prima che anche il microfono funzioni bene.
8. II lettore assume un contegno semplice e dignitoso nel modo di vestire,
poiché non è su di se che deve attirare l'attenzione ma
sulla Parola di Dio.
9. L'ascolto è un grande atto liturgico: quando nella Chiesa
si leggono le divine Scritture è il Signore che parla. Se una
lettura è fatta bene invita i fedeli all'ascolto senza leggere
dal foglietto.
10. A leggere la Parola di Dio s'impara leggendo ad alta voce e facendosi
dire da altri i difetti e gli errori da evitare.

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