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Marzo 2004

 

MAGGIO 2004

SOMMARIO

Don Pierangelo
S. Ambrogio e s. Agostino: le radici dell’Europa
Il Santuario della Madonnina del bosco
Bambini vittime della violenza degli adulti
La procreazione assistita: riflettiamo insieme
Oltre la maschera dell’odio
In ricordo del nostro fratello Grazioso
“La Passione” secondo Mel Gibson
Algeria a viso aperto
Kurdistan, cristiani a rischio


Cari fratelli e care sorelle,
la Chiesa di oggi, la nostra comunità, sta facendo un cammino di purificazione e di riappropriazione della fede in maniera più evangelica, anche se con dolore dovremo sempre dire che la sposa non sarà mai come lo Sposo la vorrebbe.
La nostra comunità, come il piccolo Resto d’Israele, lentamente cambia cercando di passare dall’esteriorità della fede alla presa di coscienza della fede come fatto personale e non individuale.
Personale, perché la fede è sempre una chiamata-proposta che Gesù rivolge alla singola persona dalla quale aspetta una risposta.
Non individuale, perché la fede non è mai un’esperienza privata, ma una professione pubblica, che introduce nella comunità dei salvati dello stesso identico e unico Salvatore Gesù Cristo.
Oggi più che mai è presente questa preoccupazione nella Chiesa, affinché essa veramente sia sale, lievito e luce in un contesto mondano dove sempre più sembra emergere un’antropologia, una concezione dell’uomo mutilata, perché ciò che conta e vale è solo una parte di esso a scapito della verità stessa dell’uomo così come lo ha pensato il Creatore.
Secondo un pensiero errato e contro l’uomo stesso si sostiene da parte di molti che è più importante
l’umano del divino;
il materiale dello spirituale;
il privato del pubblico;
il singolo della comunità;
l’esteriorità dell’interiorità;
il piacere del dovere; …
Si potrebbe continuare con questa ricerca amara, ma lascio a voi il compito dell’indagine al fine poi di riequilibrare il tutto non dimenticando Colui che per noi è il vero UOMO, il vero ADAMO dal quale abbiamo ricevuto la Vita in abbondanza e cioè la sua vita di Risorto vincitore di ogni male compresa la morte, specialmente quella spirituale.
Solo Gesù ci ha insegnato la verità, perché Lui stesso è la VERITA’; in Lui scopriamo con evidenza indiscussa la bellezza della vita nella sua ricchezza e complessità.
Carissimi il Risorto è l’unica nostra guida che ci conduce al Padre della vita, e allora teniamo stretta la sua mano anche quando la Provvidenza permetterà a noi di percorrere una valle oscura: siamo sicuri della Sua presenza, perché Egli ci sarà.
Il Risorto, Gesù nostro amico e unico Salvatore, dimori sempre nel nostro cuore.

Don Pierangelo


S. Ambrogio e S. Agostino: le radici dell’Europa

Fino al 2 maggio 2004 il Museo diocesano di Milano, in corso di Porta Ticinese n° 95, ospita la mostra “ 387 d.C.; Ambrogio e Agostino le sorgenti dell’Europa “.
“ L’idea di riportare all’attenzione del grande pubblico queste due figure eminenti del Cristianesimo e della teologia cattolica - spiega monsignor Luigi Crivelli, responsabile dell’Ufficio diocesano Beni culturali - nasce dalla volontà di coinvolgere l’Europa intera nella scoperta delle sue radici.”

Chi è Sant’Ambrogio
Santo, padre e dottore della Chiesa, nacque a Treviri (Germania) verso il 334.
Era figlio di un alto funzionario prefettizio della Gallia; di famiglia cristiana non fu battezzato alla nascita, secondo un’usanza di quell’epoca.
Studiò diritto a Roma divenendo a sua volta funzionario dell’amministrazione civile e, nel 370 circa, governatore dell’Emilia e dell’Insubria, con residenza a Milano. Per la sua dirittura morale e la sua saggezza si guadagnò la stima del popolo.
Nel 374 morì a Milano il vescovo e i Milanesi si trovarono in contrasto per la nomina del successore. Ambrogio, com’era suo dovere di governatore, cercò di mettere pace fra i contendenti, ma appena ebbe finito di parlare la folla lo acclamò vescovo. Ambrogio rimase turbato: lui, laico e non battezzato, vescovo?
Cercò di sfuggire a tale responsabilità, ma dovette arrendersi; Ambrogio, dopo aver ricevuto il battesimo, fu ordinato vescovo il 7 dicembre del 375.
Come Vescovo combattè contro la diffusione dell’eresia ariana.
Nei 23 anni del suo episcopato, Ambrogio si prodigò in opere di carità e assistenza; lottò ardentemente contro le ingiustizie e i soprusi; scrisse profonde opere di fede e compose inni sacri, dando origine alla liturgia, che venne poi detta “Ambrosiana”. Morì nel 397, rimpianto dai Milanesi, che avevano visto rifulgere in lui alte qualità umane e spirituali.
In rapporti amichevoli con Monica, madre di Agostino, ebbe un ruolo decisivo nella conversione di quest’ultimo alla fede cristiana, battezzandolo nel 387.

Chi è Sant’Agostino
Agostino, filosofo e santo, nacque a Tagaste (in Numidia, Africa), nel 354. È uno dei più eminenti padri e dottori della Chiesa.
Figlio di padre pagano e di madre cristiana, nel 371 Aurelio Agostino si recò a Cartagine per compirvi gli studi. All’età di diciannove anni, riconobbe in sé la vocazione alla filosofia; dopo un breve tempo, aderì al manicheismo, religione di originr persiana, largamente diffusa in Africa settentrionale.
Insegnante prima a Tagaste, poi a Cartagine, nel 383 si recò a Roma, dove sperava di trovare studenti più disciplinati e migliori possibilità di carriera; a Roma rimase poco più di un anno.
Nell’autunno del 384 si trasferì a Milano, avendo ottenuto l’incarico di professore ufficiale di retorica della città.
L’esperienza milanese segnerà una svolta radicale nella vita e nel pensiero di Agostino.
L’incontro con il vescovo della città, Ambrogio, contribuì alla sua conversione al Cristianesimo: divenuto catecumeno nel 385, Agostino riceve il battesimo dalle mani di Ambrogio nel 387.
Tornato a Tagaste, Agostino venne ordinato sacerdote due anni dopo e nel 397 fu nominato vescovo di Ippona, in un periodo di disordini e di conflitti teologici: i barbari premevano ai confini dell’Impero, mentre la Chiesa si vedeva minacciata da eresie e scismi.
Agostino lottò contro dottrine eretiche che negavano il valore assoluto dei Sacramenti e la dottrina del peccato originale. Durante il suo ministero elaborò le sue dottrine sul peccato originale e la grazia divina.
Nelle Confessioni invece esplora l’animo umano, le verità che vi sono custodite, i sentimenti e le passioni; sottolinea come la coscienza sia il luogo della presenza di Dio nell’anima.
Agostinò morì a Ippona nel 430.

Dal 23 al 30 agosto si svolgerà il pellegrinaggio parrocchiale in Tunisia, sui passi di S. Agostino.


Il Santuario della Madonnina del bosco

Già in occasione della prima visita di S. Carlo ad Origgio nel 1566, si fa accenno all’esistenza “una chiesa assai bella e nuova, dedicata a S. Maria, in mezzo alla campagna, con la cappella dell’altare fornita di volta dipinta, piuttosto bassa, con un solo altare, senza pavimento, con tetto e tre porte aperte”. (Notizie riportate nel volume “Origgio, mille anni di storia”).
Nel 1945 ritroviamo notizie del Santuario nello scritto del cappuccino padre Domenico Borroni di Origgio, “Storia del Santuario della Madonna del Bosco in Origgio”:
“Fuori da Origgio, oltre il cimitero, lungo la strada che conduce alla Muschiona, gli antenati avevano edificato una cappella alla Madonna Addolorata. Essendo la località al limitare dei boschi, la cappella venne chiamata Madonna del bosco. Di origine probabilmente medioevale, la cappella è chiusa da una cancellata di legno, con un rustico portico davanti, sostenuto da due colonnette di granito.
Aveva un altare di legno, infisso nel muro, sotto l’affresco della Madonna; poteva contenere una cinquantina di persone. Ai fianchi dell’altare vi sono due statue di legno, finemente lavorate in barocco perfetto, rappresentanti l’Arcangelo Gabriele e Maria: è il mistero dell’Annunciazione di Maria e l’Incarnazione del Verbo.
Sul fondo dell’altare c’è un affresco raffigurante la deposizione di Cristo dalla croce (foto della pagina)”.
La cappella venne rovinata il 15 settembre del 1934, per un incidente occorso ad un giovane contadino che stava caricando erba grossa sul suo carretto trainato da un asino, proprio nel campo accanto alla cappella.
“Ad un tratto passa sull’autostrada un autocarro: lo strano rumore dell’automezzo spaventa l’asino, che si dà a fuga precipitosa, investendo col carretto una delle due colonne e facendole cadere entrambe: crollarono il portico, la facciata della cappella, parte del tetto e del muro. Rimase intatta la parete su cui era l’affresco della madonna Addolorata.
Nel marzo del 1935 furono iniziati i lavori di restauro, cui contribuì la popolazione origgese, soprattutto muratori e carpentieri. L’antico affresco venne incorniciato da un arco fra due colonne; la nuova cappella fu inaugurata il 9 settembre 1935”. Da allora il Santuario ha richiesto e ricevuto cure, manutenzioni e restauri.
Partiranno a breve i lavori di manutenzione necessari: il campanile sarà consolidato, le pareti esterne ed interne saranno ritinteggiate, i fregi saranno ritoccati. All’interno di “Voce amica” c’è una busta, che offre la possibilità di dare un aiuto per il restauro del Santuario, che tutta la comunità, ciascuno di noi deve sentire suo: tutti dobbiamo sentirci coinvolti nel suo mantenimento.

I bambini, vittime della violenza degli adulti

“Solo chi si fa piccolo è in grado di accogliere con amore i fratelli più piccoli”. È questo il cuore del messaggio del Papa, nella sua riflessione quaresimale che ha avuto per tema “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nime mio, accoglie me” (Mt 18,5).Abusi sessuali, sfruttamento, Aids. “Che male hanno fatto questi bambini - si è chiesto il Papa - per meritare tanta sofferenza? Solo la fede ci aiuta a penetrare un così profondo abisso di dolore. Ci sono minori che sono profondamente feriti dalla violenza degli adulti: abusi sessuali, avviamento alla prostituzione, coinvolgimento nello spaccio e nell’uso della droga; bambini obbligati a lavorare o arruolati per combattere; innocenti segnati per sempre dalla disgregazione familiare; piccoli travolti dal turpe traffico di organi e di persone. E che dire della tragedia dell’Aids con conseguenze devastanti in Africa?
L’umanità non può chiudere gli occhi di fronte a un dramma così preoccupante. Penso con grata ammirazione - ha aggiunto il Papa - a coloro che si prendono cura della formazione dell’infanzia in difficoltà e alleviano le sofferenze, dei bambini e dei loro familiari, causate dai conflitti e dalla violenza, dalla mancanza di cibo e di acqua, dall’emigrazione forzata e da tante forme di ingiustizia esistenti nel mondo”.
Terribile è anche la situazione dei cosiddetti “bambini soldato”: sono più di 300.000 i fanciulli attualmente impegnati in conflitti nel mondo. Centinaia di migliaia hanno combattuto nell’ultimo decennio sia in eserciti governativi, che in armate di opposizione. Decine di migliaia corrono ancora il rischio di diventare soldati. Il problema più grave è in Africa e in Asia, ma anche in America e Europa parecchi Stati reclutano minori nelle loro forza armate. Anche le ragazze, sebbene in misura minore, sono reclutate e frequentemente soggette allo stupro e a violenze sessuali.
L’invito del Papa è quello di unire “l’impegno sociale con l’annuncio del Vangelo”, rifiutando di “trattare i bambini con indifferenza”. No, dunque, al diffuso sentimentalismo che suppone nei bambini un candore innocente. Sì invece ada una fede che va al di là di una partecipazione occasionale, per affrontare i drammi vissuti, subiti da milioni di bambini nel mondo.


La procreazione assistita è legge dello Stato: riflettiamo insieme
di Luigi Clerici

La legge sulla procreazione assistita è stata varata dal Senato italiano, giovedì, 11 dicembre 2003, con 169 voti a favore, 92 voti contrari e 5 astenuti.
Si tratta di un testo che si fonda su un’idea ben precisa, ovvero assicurare “i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.
Una definizione che ci potrà sembrare ovvia, ma se diamo uno sguardo a quanto accade in Europa su questa materia, la cosa non è del tutto scontata.
E anche le polemiche, talvolta dai toni che possiamo definire “violenti” dal punto di vista verbale, che hanno accompagnato la sua predisposizione e votazione, hanno dimostrato che su questo argomento, come su altre tematiche che riguardano la vita e la morte, le nazioni del vecchio continente vivono uno scontro ideologico radicale, le cui conseguenze possono anche lasciarci esterrefatti.
In questo caso lo stato italiano ha deciso di porsi dalla parte del soggetto più debole, ovvero l’essere umano nella fase iniziale del suo sviluppo. Si tratta proprio, però, dello stesso embrione che negli anni ‘70 era stato definito una “cosa” dalle leggi che introdussero l’aborto nel nostro paese. E qui si potrebbe iniziare a riflettere su come mai, in una determinata situazione, l’embrione sia titolare di diritti, innanzitutto quello alla vita, e in altri casi no!
Definita erroneamente l’ultima battaglia “cattolica”, la nuova legge sulla fecondazione assistita è stata votata da quasi tutte le forze politiche della Casa delle libertà e da molti esponenti della Margherita, ma spulciando il testo legislativo questo non può certo essere definito cattolico. Il testo infatti riconosce diritti giuridici a una pratica, la fecondazione artificiale, che contraddice l’insegnamento del Magistero che vieta ogni forma di riproduzione in vitro ed ogni tecnica che sostituisce l’atto coniugale. Inoltre il ricorso a questo sistema contraddice anche la legge naturale, perché ammette una pratica che comporta sistematicamente l’eliminazione di numerosi embrioni umani, perché, in pratica, non è possibile arrivare al concepimento senza sacrificarne una certa quantità. Ma in nessun organo di stampa si legge di tutti quei bambini mai nati, condannati a un aborto certo!


OLTRE LA MASCHERA DELL’ODIO
di Giovanni Ruggiero

In scena a Torino uno spettacolo, “Bereshit” che ripercorre il dramma di Israele e Palestina, recitato insieme da giovani attori arabi e ebrei che vivono in Galilea.

Bereshit, vocabolo che significa “in principio”, quando ebrei, arabi e palestinesi erano “figli di un solo Padre”.
La maschera inespressiva che i ragazzi del gruppo “Il Teatro Arcobaleno” di Angelica Calò Livnè portano sul viso non l’hanno avuta in eredità dal Padre. Gli uomini se la sono fatta da soli, con i loro pregiudizi, le loro paure e i loro sospetti l’un per l’altro.
È la maschera che porta al terrorismo che insanguina il Medio Oriente.
Sono 25 gli attori: ragazzi dei kibbutz ebraici e dei villaggi arabi del Nord di Israele, al confine con il Libano.
Sulla scena hanno vesti e casacche di diversi colori che dividono, ma sul volto la stessa maschera: li accomuna nell’odio, nella paura e nel sospetto. Ce ne vorrà perché ciascuno se la tolga dal volto. Se cade davvero, per questi ragazzi è come toccare il sogno. Noah, alla fine, canta: “È finita, è tutto passato”.
Negli occhi hanno la stessa luce e lo stesso desiderio di pace. Le culture si incontrano. Le fedi si interrogano. e cadono le prime maschere. Non sono i soli. Altri del gruppo fanno lo stesso. Ora sono amici. Si guardano negli occhi. Capiscono che cercano la stessa cosa: la pace.
Come aiutarli? Afferma Batia: “Dovete imparare a non schierarvi contro, dovete desiderare anche voi la pace. Siamo noi a decidere, non i governi, perché i governi non sanno bene le cose”. Come vivono la loro terribile realtà quotidiana? Risponde Amal, poco più di 14 anni: “Cerchiamo ogni giorno di dimenticare, anche se è difficile accettare che ogni giorno un tuo amico è morto”. Un altro giovane attore, ebreo, dice: “Una volta ho sentito dire che se anche vai per una strada buia alla fine trovi la luce. Io ogni giorno aspetto questa luce”.
Ricordiamo le parole che Angelica ha pronunciato prima che iniziasse lo spettacolo: “Uno dei mali è che spesso abbiamo le finestre e le porte della nostra anima chiuse”.
Lei con questo spettacolo vuole aiutare i ragazzi italiani delle città dove faranno tappa ad aprire uno spiraglio, convinta che stia già succedendo qualche cosa.

In ricordo del nostro fratello Grazioso
Dalla predica di don Pierangelo durante la Messa funebre

Siamo nella Settimana Santa e tutto ci richiama alla riflessione sulla morte di Cristo, anche con il colore liturgico dei paramenti, il rosso, colore del martirio, che ci invita a riflettere sul vero valore della morte. Come sempre ci vengono in aiuto le parole del Vangelo che abbiamo letto (Giov. 11, 1 - 14, Risurrezione di Lazzaro). In questo brano vediamo il turbamento dell’animo di Gesù per la morte dell’amico Lazzaro, ma ancor più il turbamento e la tristezza per l’incomprensione dei discepoli verso la morte.
Gesù, che sembra già dire qui “la mia anima è triste fino alla morte”, spiega come vivere nell’attesa della morte, quando afferma che 12 sono le ore della luce, ma una sola è quella privilegiata, la nona, quando “si fece buio su tutta la terra”, l’ora ultima, quella che introduce alla vera luce. L’ora della morte ha in sé due facce, la morte corporale e la nuova vita, la vita eterna. Il Signore ci invita allora a vivere la nostra vita protesi verso quest’ora, l’ora suprema che riassume in sé tutte le altre.
Pensando a Grazioso, penso a come anche lui, in questi ultimi mesi, tempo anche di malattia e sofferenza, ha atteso con fiducia quest’ora
Quando si è nella luce bisogna operare per Dio, fare la volontà del Padre attraverso le opere e la testimonianza.
Grazioso ha atteso il compimento della sua ora in silenzio, quasi per non disturbare, un silenzio orante, fatto di preghiera, soprattutto il Rosario, perché era molto devoto alla Madonna. Si è preparato così a vivere la sua ultima liturgia, dopo tutte quelle preparate per noi: messe, funerali, matrimoni, battesimi, alle quali arrivava sempre in anticipo per predisporre tutto l’occorrente e aspettando in silenzio, recitando il Rosario.
È passato tra noi come un angelo, al quale dobbiamo solo dire grazie e augurare la beatitudine celeste. Ha servito questa comunità in umiltà, ora è bello pensarlo in paradiso a servire un’altra comunità.
Era un uomo di fede, una fede fatta di opere e di preghiera silenziosa.
A Grazioso va il più sentito ringraziamento, mio personale e di tutta la comunità. Poco fa dicevamo in sacrestia, in questo luogo che è come il ritrovo di una piccola famiglia, che ci manca. A ognuno di noi mancherà ora la sua cara presenza.
Ma siamo sicuri della sua presenza dall’alto e della sua preghiera di intercessione per la nostra comunità.

La “Passione” secondo Mel Gibson (dalla recensione di R.Di Diodato)

È uscito, nelle scorse settimane, il film di Mel Gibson “La Passione di Cristo”.
Dal punto di vista narrativo, il regista prende in considerazione le ultime dodici ore di vita di Gesù, dalla sera del Getsemani alla morte sul Calvario.
L’idea gli venne durante una forte crisi spirituale, che lo fece riflettere profondamente sulla sua fede e sul significato della sofferenza e del dolore, del perdono e della redenzione compiuta da Cristo.
Mel Gibson racconta il “cuore” della storia più grande e straordinaria.
Le prime narrazioni attorno alle quali si formarono i vangeli furono, infatti, quelle della passione, morte e risurrezione del Signore.
Sono moltissime le opere cinematografiche che si sono ispirate ai racconti evangelici e i volti di Gesù nel cinema sono i mille volti dell’uomo, segnati dalle sue fatiche e dai suoi dolori, dalle sue speranze e dalle sue paure, ma anche dal profondo bisogno di dare un senso alla vita.
Mel Gibson ha voluto raccontarci il Gesù delle sofferenze estreme, quello di alcune mistiche come Theresa Nuemann e Katharina Emmerick ( di quest’ultima la S.Paolo ha pubblicato quest’anno il libro “La Passione del Signore nelle visioni di Katharina Emmerick”). Il regista ha dichiarato: “Volevo mostrare la grandezza del sacrificio e l’orrore che lo caratterizza”. E c’è riuscito!
Questo Gesù mette a disagio, ma nello stesso tempo trasmette forti sentimenti di compassione. Non c’era ancora nella storia del cinema un Gesù così duro e trasgressivo rispetto al Gesù “tradizionale”.
Attorno al film è nata una forte polemica, quando qualcuno ha voluto vederci una posizione antisemita; vedendo il film, ci si rende conto che non c’è nemmeno la più piccola traccia di antisemitismo: quindi la polemica è ingiustificata.
“La Passione di Cristo” è solo un film: abile, coinvolgente, discusso, ma sempre un film. E non è perciò il caso che la Chiesa, che ha responsabilità e compiti ben più gravi, sia chiamata a prendere posizione, pro o contro, tale opera.
Mel Gibson, da uomo credente, dovrà essere contento se il suo film spingerà qualcuno a riprendere in mano la sacra pagina del Vangelo e ad avvicinarsi con sincerità e umiltà alla persona di Cristo.

Algeria a viso aperto di Henri Teissier - Arcivescovo di Algeri
(da “Cristiani in Algeria: la Chiesa della debolezza” Ed. Emi)

Questo secolo ha conosciuto, più degli altri, persecuzioni sanguinose contro la presenza cristiana.
Ci sono stati i martiri del comunismo ateo in Urss, Cina, Vietnam e in molti altri paesi.
Ci sono stati i martiri del nazismo o quelli della guerra di Spagna.
Ci sono stati i martiri dell’Africa centrale ( Ruanda, Congo, Burundi) o quelli che, in America latina, davano la propria vita per solidarietà con i contadini poveri, vittime del sistema del denaro e del potere. In questa lunga lista di vittime, i martiri dell’Algeria occupano un posto particolare. Certo non sono che un piccolo gruppo, numericamente parlando, rispetto alle grandi persecuzioni che abbiamo appena ricordato.
Ciò che è particolare ai martiri dell’Algeria è che sono stati indotti a dare la vita non per non rinnegare la loro fede, né per difendere una comunità cristiana, ma per fedeltà a un popolo musulmano. I 19 religiosi e religiose, martirizzati in Algeria tra il ‘94 e il ‘96, non erano rimasti in quel Paese per sostenere una comunità cristiana (la maggior parte dei cristiani infatti aveva dovuto abbandonare il Paese man mano che si radicalizzava il fondamentalismo algerino), ma perché convinti che l’amore verso i fratelli e le sorelle dell’islam doveva spingersi fino ad assumersi un rischio: per loro significava restare fedeli al Vangelo della fraternità universale.
Padre Henri Vergès e la suora dell’Assunzione sono state vittime della fedeltà ai giovani liceali del quartiere povero della Casbah, l’8 maggio 1994. Le missionarie spagnole sono state vittime della fedeltà agli abitanti del quartiere popolare di Bab el-Oued il 23 ottobre 1994, davanti alla porta della loro cappella. I quattro Padri Bianchi di Tizi Ouzou sono rimasti fedeli alla popolazione della Cabilia. Le suore di Nostra Signora degli Apostoli a quella del quartiere di Belcourt, suora Odette a quella di Kouba, i sette monaci ai contadini di Tibhirine. Ed è anche per fedeltà al suo popolo, cristiani e musulmani insieme, che monsignor Clavarie è rimasto al suo posto anche se sapeva di essere minacciato.
La Chiesa del Vaticano II aveva mandato i nostri martiri presso un popolo non cristiano, perché l’immensa famiglia dei figli di Dio, per i quali si può donare la vita, supera tutte le barriere confessionali, culturali o etniche.
Questa evoluzione è stata colta anche da molti amici musulmani. Si sono sentiti colpiti dagli attacchi contro di noi, come se facessero parte della famiglia cristiana. Molti ci hanno scritto la loro emozione. Erano del resto molto più numerosi dei cristiani alla sepoltura dei padri di Tizi Ouzou, a quella dei sette monaci o a quella di Claverie.


Kurdistan, cristiani a rischio di Mirella Galletti

I cristiani curdi si dicono evangelizzati dall’apostolo Tommaso. Di certo sono fra i cristiani più antichi del mondo. Provengono da una regione contesa, un’area frantumata tra quattro Stati (Iraq, Iran, Turchia e Siria), nella quale convivono etnie diverse (arabi, iranici, turcomanni, ebrei) e differenti fedi o confessioni (sanniti, Yezidi, ebrei). Parlano dialetti neoaramaici e seguono il rito siriano.
Durante la “guerra dimenticata” del 1980/88 tra Iran e Iraq emigrarono in massa alla volta di Stati Uniti, Canada, Australia, Francia. Ignorati dall’Occidente e preoccupati dall’ascesa del fondamentalismo islamico, rischiano l’estinzione: oggi solo centomila vivono nella regione.
A lanciare l’allarme è la storica Mirella Galletti. Docente universitaria e instancabile viaggiatrice, massima esperta italiana della questione curda.
“Queste comunità, già disperse, - dice M. Galletti - rischiano di scomparire da un’area dove anche solo la presenza, come sottolineava Paolo VI, è estremamente significativa. Di fatto sono l’anello più debole. Nel Kurdistan turco, negli anni ‘80-’90, i cristiani si trovarono presi tra la guerriglia di Ocalan e la repressione di Istanbul. Oggi sono praticamente scomparsi. La presenza più massiccia, sulle 50.000 unità, resta in Iraq.
Il destino dei cristiani del Kurdistan è inestricabilmente legato al destino dei curdi, soprattutto dei curdi iracheni. Nei villaggi cristiani l’istruzione è più elevata che tra i musulmani e i legami con l’estero più saldi. Nell’ultimo decennio il Kurdistan iracheno è stato una fucina di democrazia e un laboratorio oggi indicato a modello per tutto l’Iraq.
La questione curda è poco nota, quella dei cristiani è quasi sconosciuta, anche perché le stesse comunità non vogliono destare clamori: doppiamente minoritarie, in mezzo a curdi e arabi, hanno scelto di sopravvivere evitando pericolose scelte di campo. Sta a noi non dimenticarci di loro”.